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MORIRE… PER GIOCO

di Giovanni Brianda

Come si può morire per un gioco? Credo che il suicidio tra gli adolescenti non sia una novità. Anzi, secondo le statistiche i soggetti più deboli sono di solito adolescenti e anziani che si sentono abbandonati. I motivi per cui un adolescente compie gesti drammatici spesso sono dettati da delusioni d’amore, omosessualità, storie di violenza domestica o bullismo. Ma stiamo parlando di storie di sofferenze tipiche della fase più difficile della vita, non della reazione depressiva ad un “gioco” online di 50 giorni! Invece circa due anni fa scoppiò il caso di Blue Whale, cioè un gioco inventato da uno psichiatra russo e messo online che a quanto pare riesce a portare qualsiasi adolescente in uno stato depressivo profondo in pochi step fino a dare alla vittima le istruzioni per compiere il suicidio per “liberarti dalla depressione”, come dice l’ultimo step. Il suo inventore è stato arrestato e le sue motivazioni sono state testualmente: “ho creato Blue Whale per togliere di mezzo le persone deboli e rendere il mondo migliore”. Agghiacciante!

Non voglio fare quello che tutto sa e che può valutare cosa sia il disagio adolescenziale omologandolo alla mia esperienza, ma se devo ricordare cosa sia stata per me quella fase ricordo di aver attraversato un’adolescenza ricca di complessi di ogni genere ma felice nella sua infelicità, perché mentre tanti adolescenti (e non solo) oggi si lasciano suicidare dalle mode o dalla chimica, nella mia generazione classe ’75 si faceva di tutto per trovare gli stimoli più sani per vivere quella terribile fase in modo più indolore possibile. Imparare a stare bene con sé perché altrimenti ci si sente soli anche in una stanza piena di amici. Non sempre ci si riusciva, perché a quell’età le regole del gioco non le conosci e la confusione tende a portarti sempre sulle strade sbagliate, che purtroppo sono sempre più numerose di quelle giuste; però per la mia generazione gli unici giochi che si potevano fare con uno schermo erano i video games da bar e quelli da Commodore 64 con i quali al massimo potevi perdere una vita virtuale notificata con la scritta Game Over. Per dire, la mia strada giusta è stata sicuramente la musica; è stata lei a farmi superare tutti i complessi ed accompagnarmi nei monti di maggior solitudine. Michael Jackson, Freddie Mercury, i Pink Floyd, Carlos Santana e tanti altri erano i miei supereroi, e con loro cominciai a trasformare le mie più grandi paure in versi e ritornelli. Non fumavo neppure erba né hashish mentre tutti i miei compagni lo facevano perché ogni volta che mi entravano in mano 4000 lire in più oltre il costo di un pacchetto di Marlboro mi servivano per acquistare un 45 giri! Ricordo che rischia di rovinarmi le ginocchia e la schiena perché mettevo i soldi da parte e ogni tanto compravo un pezzo: oggi un microfono, domani la tastiera, poi ancora la doppia piastra per sovraincidere, i nastri non bastavano mai, ecc…ma non avevo mai abbastanza risparmi per comprare un mobile che mi avesse permesso di non tenere tutto per terra, quindi di fare i miei primi passi in musica inginocchiato e curvo per ore. Quando si dice in ginocchio al cospetto della musica! E per questo grandissimo tesoro che sono sopravvissuto a tutte le tempeste (anche alle scosse dei cavi) e probabilmente sono riuscito anche a trarne buoni spunti di crescita interiore.


Ma allora come è possibile che un altro Giovanni Brianda, magari nato nel 2003, che con i suoi supereroi ha superato i più classici traumi adolescenziali, la scoliosi e la paralisi delle rotule, possa ritrovarsi davanti ad un pc per fare un “gioco” che in 50 giorni lo faccia saltare dal tetto di un palazzo? Il mio IO del ’75 è salvo solo perché non c’era internet? La colpa va ricercata nella tecnologia e nel mondo virtuale oppure la rete è solo lo strumento perfetto per alimentare un disagio giovanile che nelle scorse generazioni non c’era? Dopo tutto ricordo di aver frequentato in Piazza d’Italia con la classica “greffa del muretto” composta da persone provenienti dalle classi sociali più disagiate (io in confronto ero il ricco borghese), eppure le più grandi trasgressioni che ci permettevamo erano di abusare di alcol al fine settimana, fumare e strimpellare la chitarra sui gradini del palazzo di Provincia come degli zingari, mentre le nuove generazioni pare preferiscano fare cose che ai miei tempi sarebbero state roba da Arancia Meccanica, cioè darsi appuntamento tra bulli in rete per incontrarsi in piazza e picchiarsi, o peggio pestare passanti anziani ed indifesi senza alcun motivo! Per scommessa tra bulli? Per noia? C’è in giro qualche nuova molecole psichedelica?

Ecco! Cosa porta un sedicenne ad andare in giro per la città ad aggredire senza motivo un individuo indifeso con tanta brutalità fino a lasciarlo a terra in fin di vita? Da dove proviene tutta questa rabbia? Sono cambiate le sostanze chimiche oppure c’è una forma di disagio che non capiamo perché non esisteva fino a qualche decennio fa?

Sarò banale e qualunquista, ma la mia sensazione è che qualche problema potrebbe esser ricercato nella famiglia, non solo intesa come preposta all’educazione e disciplina dei propri figli ma semmai alla formazione umana e all’ascolto finanche alla ricerca degli stimoli più sani e sociali come ad esempio lo sport o l’arte. Forse è per via di una vita sempre più frenetica e di città sempre meno a misura di pallone con il quale sfogarsi calciandolo che fin dall’infanzia siamo soli nel senso più fisico del termine, perché viviamo nella nostra cameretta collegati troppo precocemente ai social network, alle chat, a tutti i contenuti che offre la rete, alle chat sullo smartphone e quant’ altro. Ed è qui che un adolescente anzi che stare al cinema con la propria fidanzatina, oppure al campetto a giocare a calcetto, o magari in sala prove a suonare… ma sì, anche in piazza a bere una birretta di troppo… si ritrova solo nella sua stanzetta davanti al pc, in rete, fino a che non si imbatte in Blue Whale e affida gli ultimi suoi 50 giorni ad un terribile inganno!

Non lo so, forse sono troppo presuntuoso. Non conosco la psicologia e la sociologia per capire il fenomeno. Forse tutta questa mia analisi è una cretinata e il paragone con la mia esperienza è totalmente illusoria. Una cosa è certa però: è umanamente intollerabile che una vita umana possa essere spezzata in 50 giorni da una specie di virus informatico!

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