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GEORGE FLOYD NON RESPIRA PIÙ

George Floyd non respira più e anche io in questi giorni ho il fiato un po’ corto. Sarà l’ansia. Sono due mesi che il mio umore è altalenante. La pandemia, i cambiamenti, l’affannarsi verso una normalità che non so più definire da molto tempo.

Ho difficoltà a trovare le parole e per me è una sensazione piuttosto disturbante. Uso le parole come schermo, come terapia, come ancora di salvezza. Tutto ciò che riesco a verbalizzare, smette di farmi paura.

George Floyd non è il primo e non sarà l’ultimo. Non starò qui a ragionare sulla portata di un omicidio e sulle conseguenze che questo omicidio porterà in seno alla comunità in cui ha avuto luogo. Ci sono persone più capaci e titolate di me che da giorni spiegano ciò che accade.

Non mi importa più di tanto riflettere su un persona che invece di difendere la legge la infrange nel più bieco e inumano dei modi. Sono troppo disillusa – e lo sono ormai da troppo tempo – per sperare che i buoni stiano sempre da una parte e i cattivi sempre dalla parte opposta.

George Floyd non respira più e io mi sento sempre meno partecipe di ciò che mi accade intorno. Può darsi che il mio sia un atteggiamento sbagliato, per molti sarà addirittura un atteggiamento colpevole. Non mi sento più parte di nulla se non di ciò che rappresento per me stessa.

Sono l’ultima frontiera della mia esistenza. Se non riesco a verbalizzare ciò che capita, quando non ho più parole per esprimermi, allora devo richiudermi in me stessa ed essere roccia incrollabile.

linguaggio-parole-disillusione

Non ho altri strumenti. Non sono stata educata per quello che vedo. Appartengo ad una generazione che dava per scontato che certe cose non accadessero più. Erano concetti talmente dati per assunti che ci si poteva scherzare su, con quel pizzico di bonaria ironia di chi sa che le cose funzionano diversamente.

L’ironia aiuta e il sarcasmo a volte è addirittura salvivico. Ma quando non ti viene da riderci su neanche in modo amaro, capisci che forse anche il linguaggio non ti è più di supporto.

Se George Floyd non può più farlo, io devo respirare più forte. Se non ho parole per spiegare, devo essere. Ogni giorno. Essere ciò che ritengo giusto. Senza troppe spiegazioni, ché tanto quando hai un ginocchio sulla gola le spiegazioni non servono e non vengono ascoltate.

E – badate bene – non è tanto su George Floyd, che si sofferma il mio pensiero. Non sto scrivendo un post acchiappaclick su quanto la polizia americana sia brutta e cattiva, perché tra un mese non ci ricorderemo più nemmeno il suo nome. Sarà qualcosa di nuovo e altrettanto inquietante a disturbarci il sonno.

L’unica cosa che non si può dimenticare è l’aderenza al proprio essere e alla propria ragione nel mondo. Il vostro nome non potete dimenticarlo. Tanto vale allora ricordarselo molto bene e adoperarsi per portarlo senza vergognarsene.

Rivendico dunque il mio essere un individuo. Sono ciò che non può essere diviso e lo sarò per ogni giorno della mia vita, un respiro dopo l’altro.

Francesca Arca

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