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50 ANNI DI EASY RIDER

da “I DIARI DI CINECLUB, n.78, dicembre 2019 (puoi scaricare gratuitamente l’ultimo numero della rivista cliccando QUI)

di Marino Demata

Easy Rider” è un film indissolubilmente legato al nome di Peter Fonda. Uscì nel 1969, ma ebbe una lunga genesi. La prima idea venne al giovanissimo Peter, figlio del grande Henry Fonda, nel settembre del 1967, allorché, come lui stesso ci racconta, si trovava a Toronto per pubblicizzare i film di cui era protagonista, The trip e The wild angels.

Mentre posava per alcune foto assieme all’altro interprete di quest’ultimo film, Bruce Dern, davanti a due motociclette, ebbe una rivelazione improvvisa. “Noi – pensò – potremmo essere due moderni cowboy che vanno in moto, anziché sul cavallo, e attraversano l’America per scoprire la libertà lungo la strada”.

Entrambi i film che Peter pubblicizzava a Toronto erano di Roger Corman, eclettica e infaticabile figura di regista e produttore, autore di decine di film, molti B-movie, dei più svariati generi, dall’horror alla fantascienza, con attori quali Boris Karloff, Vincent Price, Peter Lorre.

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Corman aveva creato una vera e propria scuola teorica e pratica di cinema, molto distante dagli schemi di Hollywood, dalla quale uscirono attori “alternativi” di grande rilievo quali Jack Nicholson e lo stesso Peter Fonda, e i registi della new Hollywood, Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, Peter Bogdanovich e Jonathan Demme.

Dopo la sua improvvisa “folgorazione”, Peter Fonda telefonò a Dennis Hopper, mettendolo a parte della sua idea ed offrendogli la possibilità di dirigere il suo road movie. Entrambi si resero subito conto che un film che esaltasse la contro-cultura degli anni Sessanta in antagonismo con i principi conservatori e benpensanti dell’America conservatrice avrebbe avuto poche possibilità di essere finanziato e girato ad Hollywood.

Come ricorda Lee Hill, autore di un breve saggio su Easy Rider, a quel tempo non era neppure consigliabile presentarsi negli Studios o al cospetto di un produttore, con i capelli lunghi e l’abbigliamento anticonvenzionale. E tuttavia, pur lontani dagli Studios di Hollywood, Peter Fonda e Dennis Hopper riuscirono a coinvolgere le persone giuste, a partire dallo scrittore Terry Southern, che fu ottimo sceneggiatore assieme ai nostri due eroi.

Grazie a Southern essi arrivarono ad uno dei maghi della fotografia, quel László Kovács, che riuscì a conferire colori realisticamente fantastici ai paesaggi dei vasti deserti dell’ovest americano. E arrivarono a Jack Nicholson per la parte dell’avvocato dedito all’alcool, di cui i due protagonisti fecero conoscenza nella prigione di una cittadina, lungo il percorso che Wyatt (Fonda) e Bill (Hopper) avevano intrapreso per arrivare a New Orleans in occasione del Carnevale.

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Ed è lungo il percorso che essi sperimentano e vivono la più completa delle libertà: la corsa delle due moto lungo le strade dell’America, la partecipazione alla vita di una comune, la gioiosa conoscenza di due ragazze, gli effetti di qualche droga mai provata in precedenza, la partecipazione al carnevale con altre due ragazze conosciute in un bordello di New Orleans. E tanto altro ancora.

Easy Rider diventa ben presto il manifesto della contro-cultura americana della fine degli anni Sessanta e il road movie per antonomasia. Impossibile isolare il film dal contesto politico dell’epoca: basterebbe ricordare la guerra del Vietnam in pieno svolgimento e gli assassinii di Bob Kennedy e di Martin Luther King.

In quei tempi vedere due “capelloni”, felici della loro libertà, che scorrazzano in moto per le strade dell’America rappresenta un pugno nello stomaco per i benpensanti tradizionalisti. A Bill e Wyatt viene negata una camera in un Motel e sono costretti quasi a fuggire da un ristorante dove si accorgono di non essere ben accetti.

Bill non sa darsi pace per tanta ostilità: “Una volta questo era un gran bel Paese. Non riesco a capire cosa gli sia successo.” E poi aggiunge; “E’ che tutti hanno paura: ecco cos’è. Noi non possiamo neanche andare in un alberghetto da 2 soldi. Credono che li sgozzeremo. Hanno paura.

Alla incredulità di Bill sul perché della tanta ostilità è il giovane avvocato Hanson (Jack Nicholson), aggregatosi ai due motociclisti, che si incarica di dare una risposta ragionata da intellettuale disincantato: “Ma non hanno paura di voi. Hanno paura di quello che rappresentate. Quello che voi rappresentate per loro è la libertà. È molto difficile essere liberi quando ti comprano e ti vendono al mercato. Parlano di libertà, ma quando vedono un individuo davvero libero hanno paura. E la paura li rende pericolosi.

Il modo così convinto col quale Nicholson pronuncia queste parole, la sua breve e a un tempo carismatica interpretazione ne fanno in realtà il personaggio chiave del film, quello che capisce fino in fondo la portata rivoluzionaria di chi rappresenta la libertà in carne ed ossa e non solo a parole.

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Easy Rider è un film sulla libertà da tutto e di tutto. Una libertà che viene costantemente rifiutata e negata dal ventre molle dell’America. È un film che apre una nuova era e una nuova cultura cinematografica e non solo.

Non tutti, anche tra i più noti membri della contro-cultura, hanno compreso le ragioni di tanta radicale contrapposizione tra le due culture che vive nel film fino al tragico finale. Ci riferiamo ad esempio a Bob Dylan, che avrebbe voluto la sopravvivenza di uno dei due protagonisti alla fine del film, e si sentì rispondere che Easy Rider non è un film sulla vendetta, ma su un’altra nuova cultura.

In una ideale storia della innovazione all’interno del cinema Easy Rider, assieme ai due grandi film che l’hanno preceduto, Bonny and Clyde e Il laureato, avrebbe un posto di grandissimo rilievo. I tre film, ed anche altri che seguono sulla stessa lunghezza d’onda, contribuiscono, in maniera decisiva, ad un profondo rinnovamento che coinvolge la stessa, apparentemente immobile, Hollywood.

E, a tale proposito, un profondo conoscitore del mondo cinematografico americano, Peter Biskind, in uno dei suoi saggi (oltre 500 pagine ricche di notizie, interviste, interventi, gossip) dal titolo “Easy Riders Raging Bulls” sottolinea nel plot del libro, “come la generazione di sesso, droga e rock ‘n’ roll ha salvato Hollywood”.

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