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IL NUDO NELL’ARTE E NEL CINEMA, TRA IPOCRISIE E FALSI PUDORI.

da “I DIARI DI CINECLUB, n.71, aprile 2019 (puoi scaricare gratuitamente l’ultimo numero della rivista cliccando QUI)

di Giacinto Zappacosta

Il risvolto, psicologico prima ancora che di approccio all’arte, col suo contorcimento logico, a tratti comico, è significativo. Le Déjeuner sur l’herbe (Colazione sull’erba) è una nota tela di Manet, notevole per mille ragioni, non solo pittoriche, ma anche inerenti alle reazioni che provocò (siamo in pieno XIX secolo) nella critica e nell’opinione pubblica, almeno in gran parte della società borghese del tempo.

Il punto, che segna un’interessante polemica, verte non tanto sulla rappresentazione di una giovane donna nuda, particolare, questo, accettato per lunga tradizione proveniente dalla cultura occidentale, quanto sulla sua trasposizione in epoca attuale, evidenziata dagli abiti indossati dai due accompagnatori. Come a significare: va bene il nudo, ma solo se contestualizzato in un tempo storico antecedente, inserito in uno sfondo dai contorni chiaramente non coevi.

L’aggettivo più ricorrente, in faccia al dipinto, nella reazione che ne seguì, fu indecente. L’indecenza, evidentemente, risiedeva esclusivamente, il che denota una ipocrisia senza pari, nella contemporaneità di quanto rappresentato. Vale a dire, per completezza, che solo gli antichi, separati da noi in virtù di una buona dose di anni, o di secoli, sono suscettibili di apparire quali soggetti di nudità.

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L’errore di Manet, parlando per assurdo, è nell’aver vestito le due figure maschili con fogge in uso al periodo corrente, le quali, viceversa, avrebbero dovuto assumere vestimenti remoti. Qui l’arte, nella critica rivolta a Manet, soffocata da pregiudizi, langue e muore per asfissia, tanto più che veniva eccepita l’inesistenza del nudo in riferimento ad un tema mitologico, così come in gran parte della classicità.

Un nudo, per inciso, niente affatto ostentato nella tela del pittore francese. Molto tempo è passato da allora, e svariate stagioni sono trascorse da quando il corpo, maschile e femminile, esordiva nelle opere d’arte. Tralasciando la produzione creata dalle genti mediterranee, le prime che, anteriormente all’arrivo degli Indoeuropei, popolarono ampi territori rivieraschi, che comunque conosce il nudo, furono i Greci, in forme mai superate, a rappresentare corpi senza veli. Senza scandali.

Colpisce in effetti la familiarità ellenica, nella vita quotidiana, con abbigliamenti ben più che discinti, specie, ed era avvertita come necessità, nell’esecuzione degli esercizi ginnici, che era parte fondamentale nelle attività di un greco. Ci soccorre l’etimologia: il ginnasio, ambito nei quali si praticava lo sport, nudi ovviamente, rimanda al termine γυμνός aggettivo qualificativo che sta a significare, appunto, e non poteva essere diversamente, nudo.

Era il contesto storico e geografico nel quale, come osservò Hegel, la vita del singolo era totalmente assorbita, potremmo dire annichilita, nel più ampio orizzonte pubblico e politico. La nudità, quindi, e ne troviamo conferma in cerimonie religiose cui i fedeli, uomini e donne, prendevano parte senza abiti, ai giorni nostri tendenzialmente relegata nel privato, era partecipata, senza esibizionismo di sorta, a fronte della generalità dei consociati.

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Ultimo Tango a Parigi

Tornando all’arte, e facendo un salto di secoli, notiamo un particolare significativo: un madrigale, musicato da Claudio Monteverdi, cremonese, su libretto di Giovanni Francesco Busenello, veneziano, giurista prestato con grande profitto al poetare fine ed aggraziato, ci consegna un verso, Pur ti miro, pur ti godo, nel dialogo tra tenore e controtenore, che palesemente rimanda all’imminente amplesso tra i due amanti. 

Prendiamo questa frase sola, proferita per la prima volta nella rappresentazione teatrale del 1642, in un’epoca che noi, uomini del XXI secolo, immaginiamo, per il fatto di essere temporalmente distante, retriva e puritana. In effetti, il metro di giudizio, ampiamente usato, è nella collocazione storica: maggiore è la lontananza dal nostro oggi, che, da perfetti idioti, consideriamo l’apice, la perfezione, il punto di arrivo della palingenesi, tanto più il periodo considerato è segnato dal regresso e dall’oscurantismo.

Qualcuno, opportunamente, aveva parlato, e la definizione si estende senza difficoltà al presente, di “secol superbo e sciocco”. Nella sua rappresentazione filmica, il canto a due voci, godibile e fine, è reperibile con facilità su youtube. Per quanto concerne più da vicino il cinema, Bernardo Bertolucci, recentemente scomparso, immortalò scene d’amore in Ultimo tango a Parigi, pellicola che ormai può essere riguardata come un classico.

Era il 1972. Le polemiche, che accompagnarono l’uscita del film, ci appaiono, a distanza di qualche decennio, come superate per assuefazione. Assuefazione a tutto quello che ci circonda, nudità comprese, nell’arte come altrove, nella più assoluta libertà di espressione. Marlon Brando e Maria Schneider, entrambi passati a miglior vita, hanno segnato uno spartiacque, nella vita collettiva e nella storia del cinema. Guardando alla nostra contemporaneità, non ogni nudo è ascrivibile all’arte, semmai, in parte notevole, alla sua negazione. Ma questo è un altro discorso, che ci porterebbe molto, troppo lontano.

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