CHI ERA VERA KHOLODNAYA?
di Virgilio Zanolla
da “I DIARI DI CINECLUB, n.59, marzo 2018 (puoi scaricare gratuitamente l’ultimo numero della rivista cliccando QUI)
Sono quasi certo che se domandassi a qualche critico cinematografico notizie sul cinema russo e sovietico negli anni del muto, mi citerebbe quasi a memoria i nomi di Ejzenštejn, Pudovkin e Vertov, e se gli chiedessi di qualche attore, tutt’al più menzionerebbe Ivan Mozžuchin e Nikolaj Čerkasov, il primo attivo in patria solo fino allo scoppio della rivoluzione, il secondo molto più attivo dall’avvento del sonoro. Eppure negli anni del muto i buoni e talora gli ottimi interpreti non sono certo mancati: come l’attrice di cui m’appresto a parlare, giudicata in patria una sorta di Francesca Bertini russa a dispetto dei soli quattro anni di carriera, mentre da noi è praticamente sconosciuta. Vera Vasil’evna Kholodnaya (Вера Васильевна Холодная) era nata in Ucraina, a Poltava, il 5 agosto 1893, primogenita di Vasily Andreevich Levchenko e Catherine Sergeevna, nata Sleptsova. Il padre, di sangue nobile, insegnava lettere in un ginnasio e quand’ella non contava ancora due anni si trasferì con la moglie e le tre figlie presso la madre, a Mosca. Dove Vera, dopo aver studiato nella scuola privata Perepyolkin, affascinata dal balletto classico, superando l’esame di ammissione davanti a moltissimi candidati persuase la madre (il padre era appena morto di colera) a iscriverla alla prestigiosa scuola di danza del teatro Bolschoi. Pare le fosse stato predetto un futuro da grande ballerina; ma appreso di tale decisione, la rigida nonna paterna s’impuntò vietando alla nipote di frequentare i corsi per non essere contaminata da quell’ambiente «frivolo e immorale».
Vera ci restò malissimo, cercando di consolarsi con la pratica di sport come il tennis e il pattinaggio, la lettura di libri (era un’onnivora lettrice di classici della letteratura) e lo studio del pianoforte (amava molto le musiche di Glinka e Ciakovskij); poi, in recite amatoriali coi compagni di liceo, scoprì il teatro. All’età di quindici anni ebbe occasione di vedere una rappresentazione della tragedia Francesca da Rimini di Gabriele D’Annunzio, interpretata dalla grande attrice Vera Fëdorovna Komissaržhevskaya: l’emozione che provò la fece rientrare a casa con la febbre alta, e quell’insolita temperatura le durò una settimana; preoccupati, i genitori chiamarono al suo capezzale un medico, il quale, dopo averla attentamente interrogata e visitata, spiegò loro che la figlia era d’indole molto suggestionabile e malinconica, troppo portata a sognare. In ogni modo, quest’ultima era ormai decisa: avrebbe fatto l’attrice, ad ogni costo. Intanto, continuava gli studi. Nel 1910, anno in cui la Komissaržhevskaya, non ancora quarantaseienne, moriva di vaiolo a Tashkent, al ballo della festa di diploma delle scuole superiori Vera conobbe l’avvocato, imprenditore e corridore automobilistico Vladimir Kholodny, che poco dopo sposò, a dispetto della disapprovazione di entrambe le famiglie, seguendolo nelle sue pericolose competizioni sulle quattro ruote. Kholodny la introdusse nell’ambiente artistico che frequentava; da lui due anni dopo ebbe la figlia Evgenyia, mentre nel ’13 essi adottarono un’altra bambina, di nome Nona. Ella non aveva però rinunciato ai suoi sogni. Così nel ’14, mentre in estate scoppiava la prima guerra mondiale e il marito, mobilitato nell’esercito russo, partiva per la guerra (dove avrebbe subìto una grave ferita e ottenuto una medaglia al valore), lei, rimasta sola e coi figli da mantenere, riuscì a convincere il produttore Pavel Thiman e il regista e sceneggiatore Vladimir Gardin ad affidarle una piccola parte (quella di un’infermiera italiana) nella prima edizione cinematografica del capolavoro di Tolstoj Anna Karenina, interpretato dall’attrice di prosa Mariya Germanova: un film che riuscì tra i più notevoli della cinematografia russa di quegli anni, ma dove ella apparve in una sola scena, quella del ballo. Vera entrò in arte adottando il poco accattivante cognome del marito, il cui significato letterale è «colui che ha freddo».
L’occasione per la svolta della carriera era però dietro l’angolo. Nel ’15 l’incontro casuale con un rappresentante degli studi Khanzhonkov le fruttò da parte del regista Evgenij Bauer – colpito dalla sua bellezza e dalla freschezza della persona – l’offerta del ruolo di protagonista nel film The Song of Triumphant Love (Песнь торжествующей любви), che primo le diede notorietà. Le altre pellicole in cui lavorò quell’anno non fecero che aumentarne la fama, specie The Children of the Century (Дети века) dello stesso Bauer e il tragico Mirazhi (Миражи) di Pyotr Chardynin. Ispirandosi in parte all’arte della ‘Duse del nord’, la grande attrice danese Asta Nielsen, dopo qualche impaccio, impostando la sua recitazione sulla semplicità dei modi e sull’estrema naturalezza, Vera riuscì a rendersi una figura espressiva e molto cara al pubblico che affollava i cinema russi cercando svago in quei duri anni del conflitto. Dopo la bella prova data in La vita per la vita (Жизнь за жизнь) di Bauer (’16), dove fu Nata, figlia adottiva innamorata di un uomo attratto soltanto dal denaro, ella raggiunse il culmine della fama nel ’17 col film By the Fireplace (У камина) di Chardynin, nel ruolo di Lydia: il tragico triangolo d’amore col marito Lanin (il bel Vitol’d Polonsky) e il ricco Peshchercskij (Vladimir Maksimov) commosse le platee che decretarono all’opera uno straordinario successo. L’anno dopo, un altro suo grandissimo esito fu in Molchi, grust… molchi (Молчи, грусть, мол- чи) ancora di Chardynin, stavolta in coppia con Cheslav Sabinsky: la storia delle traversie di una coppia di violinisti ambulanti, dove nelle vesti di Pola, Vera recitò accanto ai più famosi attori russi dell’epoca, da Ossip Runitsch a Maksimov, da Polonsky a Ivan Khudoleyev e ad altri ancora. Intanto, la rivoluzione russa dilagava: e la guerra civile che ne seguì tra ‘rossi’ rivoluzionari e ‘bianchi’ restauratori dell’impero spaventò tra i molti anche il produttore della Russofilm Kharitonov, di cui la Kholodnaya era la diva: nella primavera del ’18 egli decise di trasferire temporaneamente maestranze e produzione in Ucraina: a Odessa, sul Mar Nero. Vera partì con la sorella Sophia e una nipote, ma il marito rimase a Mosca, e così Maksimov, di cui forse era amante: in questo modo, l’attrice parve tagliare i ponti col suo passato. A Odessa, ammiratissima, lavorò in quattro film, si esibì in concerti e serate di beneficenza e in un’intervista dichiarò che nonostante le offerte di lavoro ricevute da altri paesi e i pericoli della guerra non avrebbe mai lasciato la patria; le vennero attribuiti flirt col governatore militare Alexei Grishin-Almazov, col generale francese Henri Freidenberg e col console francese Emil Enno: tutti ‘bianchi’ o ‘filo-bianchi’; ma tra i collaboratori – certo a sua insaputa – ella aveva anche due spie bolsceviche. Ai primi di febbraio del ’19 l’epidemia di spagnola che aveva colpito Odessa raggiunse anche lei: Vera volle essere trasferita dall’appartamento che occupava in albergo ad una casa presso la cattedrale della Trasfigurazione, abitata da un ricco mercante, tale Papudov; qui, nonostante le cure assidue dei professori Korovitsky ed Uskov e l’ansioso interessamento e le preghiere della gente che in capannelli attorniava la casa, alle sette e mezza di sera del 16 febbraio ella si spense, all’età di venticinque anni, sei mesi e undici giorni; in segno di cordoglio, molti teatri sospesero le loro rappresentazioni.
Il suo corpo, fatto imbalsamare da un celebre patologo, venne esposto al pubblico durante il servizio funebre, svoltosi di notte e nondimeno seguito da una grande folla. Esso venne ripreso in un cortometraggio che fu poi proiettato con straordinario seguito in tutta la Russia; ciò, a dispetto del trionfante bolscevismo, che si accanì barbaramente contro l’immagine dell’attrice, facendo bruciare i suoi film: basti dire che degli oltre cinquanta da lei interpretati, di cui otto mai giunti nelle sale cinematografiche, oggi ne restano soltanto otto, alcuni dei quali neppure completi. Ma non è tutto: giacché il luogo dove la salma di Vera venne inumata, il primo cimitero cristiano di Odessa, nel 1932 fu fatto smantellare da Stalin: così il suo corpo andò smarrito. Non sono mancate varie ipotesi circa la sua morte per omicidio (come quella che la vorrebbe strangolata dal console francese, persuaso che ella fosse una spia dei ‘rossi’), nessuna delle quali però si presta ad un minimo di credibilità. È comunque un fatto che due persone a lei molto vicine la seguirono assai presto nella tomba: la madre e il marito morirono l’anno dopo: la prima di tifo, il secondo ucciso dalla polizia politica bolscevica. Screditata dal governo sovietico, la figura dell’attrice ha recuperato soltanto negli ultimi decenni l’importanza che le spetta, quella di prima diva e di regina assoluta del cinema muto russo. Ispiratrice anche postuma di poesie e di canzoni (le dedicò un Valzer Vladimir Majakovskij, musicato da Sasha Makarov), con la sua storia Vera ha ispirato altresì il film Schiava d’amore di Nikita Michalkov (1975), interpretato da Elena Solovev, e un documentario nel ’92. L’anno successivo, per il centenario della sua nascita, l’Ucraina le ha dedicato un francobollo disegnato dall’artista Vasily Vasilenko. Dieci anni dopo, di fronte alla casa dov’è morta ad Odessa, nella via Preobrazhenskaya, è stato apposto un monumento in bronzo a grandezza naturale che ricorda la sua figura, opera dello scultore Alexander Tokarev; la stessa città le ha poi intitolato l’attigua piazza.
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Bella questa iniziativa! Non conoscevo la storia di questa donna. Molto interessante. Chissà quanti grandi attori ha avuto il mondo che noi non ricorderemo mai!
Congratulazioni per il proprietario del blog, questo è un sito molto buono!