INTOLLERANTI IN NAVE

di Marina Garau Chessa

Se Josef A. Hynek avesse fatto un viaggio a bordo di una delle navi che collegano la Sardegna alla penisola, oggi l’ufologia sarebbe un po’ diversa. Si potrebbero ipotizzare infatti, due possibili conseguenze: la prima prevede l’abbandono dell’ufologia per l’antropologia; la seconda l’aggiunta di un ulteriore tipo all’elenco degli incontri ravvicinati, ipotizzando che gli extraterrestri si comportino in modo stravagante coi terrestri per qualche ora, solo per “vedere di nascosto l’effetto che fa”.
Hynek, o chi per lui, avrebbe dovuto spiegare per quale motivo strani personaggi fanno la loro comparsa sul ponte della nave in un momento in cui non c’è rete né copertura né, tanto meno, possibilità di svignarsela. Eccone alcuni.

Quello cresciuto da solo. L’espressione “non parlare con gli sconosciuti” sembra essere valida solo durante l’infanzia, perché da adulti si viene avvicinati nei modi più curiosi: “Stai guardando un film? E non mi inviti?”, “Anche a te non prende il cellulare?”, “Ci dividiamo una cabina?” sono solo alcuni dei più frequenti; ed è inevitabile pensare che persino Mowgli, cresciuto da Akela, Baloo e Bagheera, avrebbe collegato il gesto di indossare gli auricolari al messaggio “non disturbare”.
Il sottotipo di questo personaggio è quello che non concepisce un “no” come risposta, scatenando istinti omicidi ogni volta che tenta di richiamare l’attenzione.

Il territoriale. È quello che appena arriva alla sala bar invade i divani con borse, sciarpe, coperte, sacchi di sabbia, filo spinato, reti elettrificate, chiodi nel terreno e fossato coi coccodrilli; tutto questo mentre tu giri come una trottola alla disperata ricerca del territorio neutrale in cui poterti rifugiare. Il risultato, a volte, porta i passeggeri ad appollaiarsi sugli altri arredi pur di non affrontare la trincea.

L’ansioso. Si tratta di un sottotipo dei territoriali che appena si rende conto ti sei accomodato o, peggio, hai fatto accomodare qualcuno, sgrana gli occhi e parte con il discorso “non ci stiamo”. L’idea che il divano sia a disposizione del pubblico non lo sfiora neppure, così come la possibilità che lo spazio sia maggiore di quanto creda.

Il narratore. Ha all’attivo più imprese di un personaggio Marvel o più figuracce di Mr. Bean, e le deve raccontare tutte. Si va dai tuffi da altezze improbabili alle disavventure in bagno, dai successi sul luogo di lavoro alle scivolate con il sesso opposto che, non si capisce perché, debbano essere raccontate al primo estraneo che capita.

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