IL MAROCCO, SET CINEMATOGRAFICO

di Pino Bruni

da “I DIARI DI CINECLUB, n.64, agosto 2018 (puoi scaricare gratuitamente l’ultimo numero della rivista cliccando QUI)

Il Marocco come set ha inizio già nel 1896, agli albori del cinema,soprattutto i fratelli Lumière avevano girato dei documentari in loco. E da quando, nel 1922, il Paese diventerà una colonia francese, vi si gireranno per molto tempo solo film coloniali: così il Marocco diventerà col tempo un luogo privilegiato per spazi esotici di ambientazione africana. Difatti nel corso degli anni trenta e oltre Hollywood concepisce alcuni film coloniali, anche d’avventura, come Marocco (1930) di Josef von Sternberg (con la sgargiante presenza di Marlene Dietrich e Gary Cooper), primo film di finzione sonoro ambientato nel Paese, il celeberrimo Casablanca (1942) di Michael Curtiz (dove campeggiano, inossidabili e sempiterni, Humphrey Bogart e Ingrid Bergman) o Avventura al Marocco (1942) di David Butler (facente parte della serie avventurosa Road to… interpretata da Bing Crosby e Bob Hope), con l’Arizona e la California spacciati per il Marocco: tali film di “artificio”, infatti, sono girati a tutti gli effetti negli Stati Uniti senza che la troupe metta mai veramente piede nel Paese. Ma in Marocco ci va veramente, a inizio anni trenta, il regista francese Jean Benoit-Levy, votato a film didattici ed educativi, per girare, in coppia con la sodale Marie Epstein, Itto (1934), film in concorso a Venezia, di un certo valore antropologico e documentaristico, su un medico francese e sua moglie che soccorrono e curano gli abitanti delle tribù berbere in lotta tra di loro. Ma nel Marocco (per finta, naturalmente, poiché il film è girato in California), finiscono per approdare anche i fratelli Marx in Una notte a Casablanca (1946) di Archie Mayo, sorta di parodia di Casablanca (tanto che la Warner Bros intenta causa), puro pretesto per un’altra avventura scatenata dei Marx. Comunque tra questi film è soprattutto Casablanca, grazie al suo mito, che lancia il Marocco nell’immaginario delle masse, come luogo esotico dove il romanticismo si tinge di favola morale. Altra sortita umoristica hollywoodiana del periodo, ma di timbro spionistico avventuroso, ambientata in Marocco, ma a Tangeri (ricostruita rigorosamente negli studios della Paramount), è rappresentata da L’avventuriera di Tangeri (1951) di Norman Z. McLeod, con Bob Hope, ancora lui, affiancato da Hedy Lamarr. Ma è Cecil B. DeMille il primo regista hollywoodiano a utilizzare alcune reali location marocchine, per un maggior realismo, in occasione del biblico Sansone e Dalila (1949) anticipando di qualche anno Orson Welles nello sdoganare il Marocco come luogo di riprese effettivo: Welles infatti utilizzerà il Marocco, ma in modo più massiccio, come set “shakespeariano” per Othello (1952), girato in tre Paesi e due continenti.

“Edipo re” (1967) di Pier Paolo Pasolini

Seguiranno a ruota Charles Marquis Warren con Contrabbando a Tangeri (1953), spionistico interpretato da Joan Fontaine e Jack Palance, con esterni in California spacciata per Marocco, Albert Lewin col suo melodramma esotico Saadia (1953), girato interamente a Marrakesh, con protagonista il personaggio della ragazza berbera del titolo, poi Jacques Becker per il suo Alì Babà (1954), con Fernandel, in un Marocco spacciato per la terra delle Mille e una Notte, ma soprattutto Alfred Hitchcock per le sequenze iniziali di L’uomo che sapeva troppo (1956). Negli anni cinquanta anche il cinema italiano fa la sua prima sortita in Marocco con Agguato a Tangeri (1957) di Riccardo Freda, specialista di avventure, anche esotiche all’occorrenza, qui alle prese con una storia di spionaggio con scalo a Tangeri (ma il film è girato in Spagna trattandosi di una coproduzione italo/spagnola). A inizio anni sessanta approda in Marocco anche David Lean che per Lawrence d’Arabia (1962), il biokolossal ambientato in Egitto, ricorrerà anche agli spazi del Marocco per alcune sequenze. Il Marocco dunque come spazio concreto, e al contempo simbolico d’Africa, per ambientazione nordafricana di spazi prevalentemente desertici ma anche, all’occorrenza, luogo d’ambientazione effettivo di storie marocchine, ambedue in fertile alternanza, tanto che il Paese in questione diventa uno dei più gettonati come punto di riferimento set/narrazione di tutto il Nordafrica (sicuramente il più considerato dell’intero Maghreb) tanto da rivaleggiare a volte anche con l’Egitto. Anche un regista come Pier Paolo Pasolini, attratto dal mito e dagli spazi desertici, girerà in Marocco parecchi esterni per il suo Edipo re (1967), film di coproduzione italo/marocchina. A fine anni sessanta la terra marocchina è impiegata per alcune scene di Patton generale d’acciaio (1970) di Franklin J. Schaffner e a metà anni settanta non può mancare di approdarci John Huston, regista giramondo e spesso dedito agli spazi dell’avventura esotica, in occasione del suo L’uomo che volle farsi re (1975), film ambientato nell’India del 1880 ma girato, più comodamente, anche in alcune località del Marocco, sicuramente cinegenico per la storia narrata, doppiamente esotica e lontana poiché ambientata in un Paese lontano e nel secolo precedente.

“Marrakech Express” (1989) di Gabriele Salvatores

Anche Il messaggio (1976), film di coproduzione tra Libia, Libano, Marocco, Kuwait e Inghilterra, diretto da Moustapha Akkad, che narra la storia di Maometto, viene girato per gli esterni, ambientati a La Mecca e a Medina, principalmente in Marocco. Quasi nello stesso periodo Franco Zeffirelli vi gira buona parte delle sequenze del televisivo Gesù di Nazareth (1977), dove stavolta il Marocco recita la parte della Galilea dei tempi di Cristo. Nello stesso anno torna in auge la Legione Straniera, ma con striature mistiche, in occasione di La bandera – Marcia o muori (1977) di Dick Richards, dove un battaglione di legionari viene messo a guardia di un gruppo di archeologi impegnati in Marocco (presente come set e come vicenda) alla ricerca della tomba dell’Angelo del Deserto (anche se gran parte delle riprese viene effettuata in Spagna). Ma sarà un film italiano ad evocare dopo tanti anni il Marocco nel titolo: non succedeva dagli anni cinquanta (a parte Casablanca Passage – 1979 – di Jack Lee-Thompson che millanta il Marocco ma si svolge in realtà sui Pirenei): il film italiano in questione è Casablanca, Casablanca (1985) di Maurizio Ponzi con Francesco Nuti e Giuliana De Sio, col protagonista che partecipa al torneo mondiale di biliardo proprio a Casablanca, con location reale. Ancora Hollywood userà il Marocco negli anni ottanta come ambientazione, in molte sequenze, di un film ambientato in Arabia Saudita, Il gioiello del Nilo (1985) di Lewis Teague con la scanzonata coppia Michael Douglas/Kathleen Turner. E ci andrà, per la prima volta, anche James Bond in occasione di 007 – Zona pericolo (1987) di John Glen dove alcune scene sono girate proprio sulle montagne dell’Atlante e all’aeroporto di Ouarzazate, sede di importanti studi cinematografici, gli Atlas Film Studios, più volte chiamati in causa anche per grosse produzioni internazionali (nella vicenda 007 transita realmente per il Marocco). Martin Scorsese vi gira, poco dopo, L’ultima tentazione di Cristo (1988) e un anno dopo Gabriele Salvatores, altro regista dedito al cinema dell’erranza (nella prima parte della carriera), vorrà approdare in Marocco in occasione di Marrakech Express (1989), girato anche in loco. Nello stesso periodo ancora un regista italiano, Bernardo Bertolucci, ricorrerà al Marocco come ambientazione per una vicenda di viaggio, soprattutto interiore, che si svolge, in apertura e chiusura, a Tangeri, Il tè nel deserto (1989), con narrazione che poi si sposta nel Sahara fino al Niger per tornare, circolarmente, appunto a Tangeri. Negli anni novanta David Cronenberg evocherà il Marocco, precisamente ancora Tangeri, per Il pasto nudo (1991) basato sul romanzo di William Burroughs che proprio a Tangeri concepì l’omonimo libro. Ma anche Martin Scorsese farà ricorso a diversi scenari marocchini spacciandoli per il Tibet, luogo d’ambientazione per Kundun (1997), mentre Alessandro D’Alatri seguirà l’esempio di Zeffirelli ambientando interamente in Marocco il suo film cristologico I giardini dell’Eden (1998). C’è anche spazio per un anime nipponico della serie Lupin III, ossia Lupin III – Il segreto del Diamante Penombra (1996), di destinazione televisiva, in cui il protagonista si ritrova coinvolto in un’avventura in Marocco.

Il finale di decennio vede un’altra produzione “occidentale”, nello specifico anglo/francese, far ritorno in Marocco per ambientarvi una vicenda con riprese reali in loco in occasione di Ideus Kinky – Un treno per Marrakesh (1998) di Gilles MacKinnon, con Kate Winslet. Da qui in poi le location marocchine saranno utilizzate in modo decisamente più massiccio rispetto ai decenni precedenti: un film come La mummia (1999), col suo seguito, La mummia – Il ritorno (2001), entrambi di Stephen Sommers, ricorrono, come rinforzo, a molti esterni marocchini per una storia tradizionalmente egiziana. A inizio millennio, nel militaresco Regole d’onore (2000) di William Friedkin, la scena dell’ambasciata dello Yemen è girata in realtà in Marocco, sicuramente più attrezzato alla bisogna. E poco tempo dopo ancora un italiano, Enzo Monteleone, ci girerà El Alamein – La linea del fuoco (2001), con il Marocco spacciato per l’Egitto della Seconda guerra mondiale. Ma anche Ridley Scott non mancherà di mettere piede su suolo marocchino in più di un’occasione, per le sequenze in esterni di film come Il gladiatore (2000), la cui sequenza iniziale è girata però nel Surrey, in Inghilterra, Black Hawk Down (2001), con il Marocco spacciato per Mogadiscio, molte delle sequenze di Le crociate (2005), e infine Nessuna verità (2005), con la coppia Leonardo Di Caprio/Russell Crowe, dove alcuni esterni marocchini simulano la Giordania: negli anni 2000 anche in Spy Game (2001) del fratello, Tony Scott, interpretato dall’inedita coppia Redford/Pitt, viene fatto uso di alcune location marocchine per le sequenze di ambientazione libanese. L’esempio viene seguito anche da Oliver Stone per il suo Alexander (2004), dove alcune sequenze in esterni girate in Marocco fanno da ambientazione per le imprese di Alessandro Magno che in Marocco non c’è mai stato. Ancora il cinema francese d’autore, come si suol dire, visto che il regista è André Techiné, sceglie, allo scoccare del nuovo millennio, ancora il Marocco, nello specifico Tangeri (molto più gettonata di Casablanca visto che, come città di frontiera, vi si parlano cinque lingue diverse), come snodo narrativo per Lontano (2001), vicenda d’amore problematica ambientata a Tangeri, sceneggiata dal capofila del cinema marocchino del momento, Faouzi Bensaidi. Per un film di ambientazione e progressione tricontinentale come Babel (2006) di Alejandro Gonzales Inarritu, si sceglie il Marocco come segmento africano con la coppia Brad Pitt/Cate Blanchett. Anche due horror, L’esorcista – La Genesi (2004) di Renny Harlin e Le colline hanno gli occhi (2006) di Alexandre Aja (remake del film di Wes Craven del 1977) vengono girati interamente in Marocco, il primo con location nel Lazio e a Casablanca, il secondo interamente in loco, con il Marocco a fare da controfigura nel primo caso al Kenya, nel secondo al deserto del Nuovo Messico.

Anche l’Italia fa ancora la sua parte col giovincello Mario Monicelli che, a novant’anni suonati, si reca in Marocco per girare interamente in loco il bellico intimista Le rose del deserto (2006). Oltre a 007, un altro eroe action, stavolta hollywoodiano, Jason Bourne (Matt Damon), approda in Marocco in occasione della sua terza avventura in The Bourne Ultimatum (2007) di Paul Greengrass, dove l’ex killer della CIA fa una rocambolesca tappa a Tangeri con un inseguimento di prima categoria sui tetti della città. Nello stesso anno in Rendition – Detenzione illegale (2007) di Gavin Hood, la vicenda ambienta a Marrakesh le scene delle torture inflitte a un analista della CIA (Jake Gyllenhall) da parte dell’antiterrorismo egiziano al servizio degli Stati Uniti. Ma non può mancare un altro film religioso, Uomini di Dio (2010) del francese Xavier Beauvois che, per la storia vera dei monaci trappisti di stanza in Algeria negli anni novanta, si serve del “rivale” Marocco per tutta la durata delle riprese. Nello stesso anno alcune località del Marocco come Rabat vengono usate come location per diverse scene ambientate in realtà a Baghdad, Iraq, per lo spionistico militare Green Zone (2010) di Paul Greengrass, ancora con Matt Damon. Anche un altro cineasta dell’erranza, Jim Jarmusch, non poteva non approdare in Marocco, prima o poi, in occasione di Solo gli amanti sopravvivono (2013), storia di vampiri moderni (Tilda Swinton e Tom Hiddleston) che approdano a Tangeri dove troveranno la loro nemesi, nell’unica vicenda vampiresca marocchina della storia. Di lì a poco anche Clint Eastwood va in Marocco utilizzando Rabat, la capitale del Paese, spacciandola per Falluja, in Iraq, in occasione di American Sniper (2014). Qualche anno dopo vi fa ritorno anche James Bond, per la seconda volta, in occasione di Spectre (2015) per le sequenze desertiche della vicenda, ambientate presso Tangeri, naturalmente. Nello stesso periodo si ritrova in Marocco anche un rivale cinematografico di 007, e altro giramondo, Ethan Hunt (Tom Cruise), quello della serie “Mission: Impossible”, in occasione del quinto appuntamento cinematografico della serie, Mission Impossible: Rogue Nation, dove l’intrepido personaggio vola alla volta del Marocco presso un server segreto nascosto sotto una centrale elettrica. Il ritorno alla mitologia esotica legata a Casablanca avviene, proprio di recente, con Allied – Un’ombra nascosta (2016) di Robert Zemeckis con la coppia Brad Pitt/Marion Cotillard, vicenda a sfondo bellico della Seconda guerra mondiale che prende le mosse proprio a Casablanca con chiara evocazione di quel film mitico, con l’immortale vicenda di melodramma a sfondo bellico che aveva avvicinato il Marocco alla cultura di massa come nessun altro film.

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