UNA GENERAZIONE DI CONSUMATORI

di Marina Garau Chessa

Guardando l’attuale generazione di alunni delle medie, il commento più frequente della mia generazione è stato: «noi non eravamo così». Certo: siamo stati turbolenti, poco studiosi, facevamo vela anche noi; ma non siamo arrivati a certi livelli di maleducazione o di mancato rispetto dell’autorità.
Nessuno di noi si sarebbe sognato di minacciare un insegnante per un voto, e la minaccia di una nota, sul diario o sul registro, ci faceva decisamente paura.
Cos’è cambiato allora? È colpa dei genitori? Della società? Dei social? Probabilmente l’insieme di cose.

Mi sento di dare ragione a Pennac: abbiamo trasformato i bambini in consumatori. Già in età prescolare i bambini sono lasciati liberi di scegliere fra una serie di prodotti pensati apposta per loro, spesso in competizione con altri bambini della stessa età. Per altro, spesso, si tratta di prodotti decisamente costosi che i bambini esigono e che i genitori non possono permettersi. La questione oggetti “status symbol”, che le generazioni precedenti vedevano al liceo o non vedevano affatto, si sposta quindi già alla primaria o alle medie. Gli alunni hanno scarpe firmate, tablet, cellulari e videogiochi di tutti i tipi. L’illusione è quella di permettere al bambino di affermare la propria identità mentre, di fatto, si è fatto di lui un consumatore.
Il risultato è che i bambini mettono ciò che vogliono davanti a ciò di cui avrebbero bisogno (studio, gioco, socializzazione), e non hanno gli strumenti per capire la differenza.
Qui starebbe ai genitori far capire che è più importante ciò di cui hanno bisogno, e stimolarli in quella direzione. Ma come possono, genitori che hanno sempre realizzato tutti i loro desideri, imporsi per far rispettare loro i bisogni che serviranno loro in futuro?

 

Gli insegnanti non devono dare ai ragazzi ciò che vogliono, devono dare loro ciò di cui hanno bisogno, per prepararli ad affrontare il mondo esterno. Non si tratta, ovviamente, di cultura fine a se stessa. Si tratta di insegnare ai ragazzi che gli obiettivi si realizzano con l’impegno, col ragionamento e col lavoro di squadra. Cose faticose, per chi ha sempre avuto tutto senza doversi guadagnare nulla. Per questo motivo si arriva facilmente allo scontro in classe, con insegnanti aggrediti o impotenti e genitori che minimizzano.

È un’altra generazione: sono sicuramente diversi da noi, in una società in continuo cambiamento. Forse, però, prima di pensare a dar loro “tutto ciò che non abbiamo avuto”, dovremmo pensare a dar loro ciò che abbiamo avuto noi: ciò che all’epoca ci sembrava faticoso e che non avevamo voglia di fare, dovremmo spiegar loro che possono ottenere ciò che vogliono se si impegnano abbastanza per ottenerlo e che lo studio, ad un certo punto, diventa un piacere. Non importa se non hanno l’età per crederci, arriverà più avanti; conta che adesso si occupino di ciò di cui hanno bisogno, non di ciò che vogliono.

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