PARITÀ LINGUISTICA

di Marina Garau Chessa

La lingua riflette sempre la cultura di un popolo: il suo modo di pensare, la sua storia e gli eventi che l’hanno cambiata. Ma la prima cosa che si scopre di una lingua, quando se ne guarda il profilo storico, è che una lingua esiste sempre prima dei grammatici; e che la trasformazione di una lingua è spesso molto lenta, ma passa sempre attraverso l’uso. Ecco perché molti “errori” (se così vogliamo chiamarli) diventano termini. TESTA(M), ad esempio, in origine indicava un vaso di terracotta. Probabilmente aveva una sfumatura ironica, ma ha finito per sostituire CAPUT; lasciando a “capo” un ruolo aulico. Col tempo, in italiano è scomparso il genere neutro aumentando il numero dei sostantivi maschili, fatta eccezione per alcuni sostantivi al plurale in –a, che sono diventati femminili.

Ma l’errore che diventa norma non è un buon motivo per devastare una lingua in nome della parità di genere. L’italiano ha effettivamente delle espressioni maschiliste, che spesso vanno al di là del significato letterale della parola; basti pensare che “zitella” e “scapolo” hanno due accezioni opposte, sebbene indichino un individuo non sposato.
Se sostituendo una vocale in finale di parola o mettendo un asterisco alla fine del plurale (mi fa sanguinare gli occhi, parola!) si pensa di cambiare la mentalità maschilista, si sbaglia di grosso. Il processo da seguire dovrebbe essere opposto: prima si lavora sulla mentalità, e poi la lingua si trasformerà di conseguenza. Possibilmente in modo meno cacofonico di “ministra”, “sindaca” e simili.

Prima di pensare a “come dirlo in italiano”, però, possiamo partire dalla parità retributiva? Questo perché, a parità di mansioni e competenze, una donna viene ancora retribuita meno di uomo. Se devo lavorare più di uomo per ottenere lo stesso trattamento retributivo, sinceramente, non me ne frega un accidente se il sostantivo è adeguato.

Possiamo continuare smettendo di considerare dei lavori tipicamente da uomo e tipicamente da donna? Perché fino a quando continueremo a pensare che un lavoro “da uomo” nobilita la donna e che un lavoro “da donna” degrada l’uomo, sarà perfettamente inutile parlare di parità linguistica. Ed è inutile chiedere la parità linguistica quando, ai colloqui di lavoro, non ti assumono se hai figli o se hai intenzione di averne.
Siamo ancora incredibilmente indietro dal punto di vista legislativo e culturale, terribilmente indietro.
E per chi invece ritiene che sia necessario agire prima sull’italiano e che tutto ciò non sia cacofonico… beh… Rispondo che io devo andare: mi aspetta il “farmacistO” per la medicina, sperando che il “camionistO” gliel’abbia consegnata.

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