DI MITI E DI LIMITI

di claudia giglio

La mia amica Marika, campana DOC che manco la mozzarella di bufala regge il confronto, ha vinto una borsa di dottorato in lingua olandese e viaggia di continuo tra l’Università di Napoli, dove studia e fa ricerca, e Utrecht, dove si è trasferita ormai da diversi anni. A Napoli insegna l’olandese ai ragazzi italiani e pochi giorni fa mi raccontava che quasi tutti i suoi allievi sono gay. Cullati dall’idea dell’Olanda tollerante, aperta a tutte le trasgressioni e attenta ai gusti di tutti in fatto di sesso, droghe e musica techno – ‘sti cristian’, come direbbe Marika, si studiano l’olandese fitto fitto per potersi trasferire al piú presto nei Paesi Bassi.

Alla Mecca occidentale della lussuria e delle sostanze stupefacenti, dei festival di musica elettronica che durano settimane, dei diritti LGBT sbandierati per le strade di tutto il Paese (il Pride si avvicina), giungono giovani italiani ardenti di sperimentare l’eccesso e sovvertire le regole sociali piú rigide, amarsi pubblicamente e rinascere, finalmente, liberi. La libertà è un orizzonte impossibile da percorrere con lo sguardo, figurarsi con la tastiera, ma è davvero la libertà che si viene a cercare in Olanda? O è solo il desiderio di un brivido, una scintilla, uno sguardo? E poi, libertà di cosa? Un bacio in pubblico, una canna fumata senza pensieri, una settimana a sentirsi figli di nessuno e in pieno sbalzo adrenalinico dovuto alle pasticchette colorate sotto la lingua, fanno liberi? Seguendo la scia di immagini che tale attrattiva evoca in ciascuno di noi, lo scenario si apre sui verdi parchi di Amsterdam, l’imponenza dei grattacieli a Rotterdam, le stradine dipinte di Delft. Ma gli olandesi dove sono? In nessuna delle nostre cartoline, in pochissime delle nostre fotografie, e pure infiltrati da photo bomber. La verità è che gli olandesi non ci sopportano (mi ci metto anche io da questa parte, emigrata nei Paesi Bassi per ritrovare le farfalle allo stomaco). Tollerano a fatica la libertà promulgata e approvata dal loro Governo. Da qui, la domanda:  se la popolazione soffre la presenza di vetrine a luci rosse, coffeeshop che vendono marjuana da asporto e la presenza massiccia di immigrati italiani che cercano la felicità nel paese piú felice del mondo (se provate a cercare le ultime classifiche sul livello di felicità, troverete che la tollerante Olanda è sempre al primo posto), come è possibile sentirsi liberi?
Gli expat trascorrono la maggior parte del loro tempo con connazionali o con immigrati di altre nazionalità, ma i rapporti con gli olandesi si limitano spesso al tempo trascorso sul posto di lavoro con gli autoctoni colleghi discendenti di Guglielmo d’Orange (Willem van Oranje in het Nederlands). Gli olandesi, quasi sempre, ci lasciano perplessi riguardo alle loro abitudini, mentre invece, loro, si lamentano di noi. Storcono il naso quando sentono odore di cannabis, dissentono in maniera evidente alla vista dell’esuberanza di certi turisti, e quando incontrano un probabile straniero pregano che il loro calvinismo non li costringa a domandare se, per caso, serva aiuto. Perchè l’olandese scuote la testa imbarazzato di tanta joie de vivre, ma sarà costretto dalla propria educazione e da altre regole sociali che non potranno mai essere rotte, ad indicarti la strada per raggiungere il Van Gogh Museum. Dov’è la libertà in questo quadro di chiaroscuri? Cos’è la libertà se infastidiamo il popolo che ci ospita e non ci curiamo neanche un po’ di altre libertà che non siano le nostre? In Olanda, credetemi, sono felici davvero. Difendere questo status di benessere è il loro modo di riconoscere che le suddette libertà altro non sono che la concessione di trasgredire alle regole che tutto il mondo gli invidia. È quanto di piú simile ad un’indulgenza si trovi da queste parti.

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