E QUINDI VI PIACE IL MARE…

di Francesca Arca

E quindi vi piace il mare… Non ho nulla contro di voi, giuro! Anzi, adoro i weekend in pieno agosto in cui voi decidete di trasferirvi in massa sulla spiaggia e io rimango nel silenzio totale di una città deserta.

E’ la cosa che amo di più dell’estate. Forse è meglio dire che è l’unica cosa che amo dell’estate. Il silenzio della città. Certo è meglio ricordarsi di fare provviste, perché il panorama ricorderà quello di un’apocalisse zombie ma comunque ne vale la pena. Il silenzio irreale che si può godere non ha prezzo.

Sono andata al mare anche io, state tranquilli. Ero piccola. Ai bambini piace il mare. Si divertono un sacco. Ho sempre creduto che il motivo per cui il mare piaccia ai bambini non sia così dissimile dal motivo per cui piace agli adulti. Il mare è un luogo anarchico.

E’ pur vero che oggi le restrizioni sono sempre più frequenti: non portate l’asciugamano ma solo la stuoia, non raccogliete le conchiglie, non giocate con i racchettoni… però il mare rimane ancora una zona franca di autoregolamentazione più o meno avventurosa.

Mi è capitato di pensare – e do la responsabilità al caldo per questa mia follia – a cosa accadrebbe se ci comportassimo nella quotidianità così come ci comportiamo quando stiamo in spiaggia.

Chi più, chi meno, viviamo tempi in cui il rapporto con gli altri è abbastanza difficoltoso, la tolleranza è sempre più risicata, siamo tutti più infastiditi, litigiosi e criticoni.

Sarà la crisi economica, sarà il fatto che sempre più spesso ci rapportiamo agli altri da dietro uno schermo del pc e non de visu, ma è più facile di un tempo che le persone ci risultino moleste.

Se prendiamo i mezzi pubblici non ci fa piacere che qualcuno ci si sieda appiccicato. Se facciamo la fila in un ufficio non ci va di sorbirci la conversazione con la signora anziana che ci chiede come fare a prendere un numeretto. Se prendiamo un caffè al bar vogliamo il caffè con latte di soia a parte, una spruzzata di cannella andina, lo zucchero biologico che arriva dalla Papuasia Meridionale, non vi dico quando andiamo al ristorante.

Beh, al mare non accade nulla di tutto questo. L’abbigliamento con cui arrivate è abbastanza simile a quello che avete a casa quando vi sbracate sul divano: pantaloncini, t-shirt, ciabatte. Arrivate a destinazione e vi spogliate.

Rimanete in mutande davanti a perfetti estranei che spesso vi ritrovate a venti centimetri di distanza, anche loro mezzo nudi e unti di sostanze appiccicose che servono a proteggervi dal sole a picco.

Vi sdraiate per terra su un asciugamano sul quale mettete i piedi, e che utilizzate per asciugarvi qualsiasi parte del corpo, mentre a casa vostra invece usate un asciugamano per il viso, uno per la doccia, un accappatoio, un asciugamano per il bidet ecc. ecc.

Rimanete per ore a temperature alle quali in città probabilmente commettereste degli omicidi. Mangiate panini e tramezzini avvolti nella stagnola o nel cellophane che se ve li presentassero in un bar intasereste Trip Advisor di commenti al vetriolo, il tutto condito da sabbia perenne che si infila dappertutto e diventa parte integrante del DNA vostro e della vostra progenie futura.

A me sta benissimo, l’importante è che voi ne siate felici e che vi rilassiate. Però – ve l’ho detto, sarà il caldo che mi fa strana – non posso non guardarmi intorno in questi giorni e immaginare se ciò che fate in spiaggia poteste farlo anche in ogni altro luogo.

Uscire di casa in ciabatte, arrivare in ufficio, spogliarvi, rimanere in mutande, oppure recarvi nella piazza principale della vostra città, sdraiarvi sul selciato in slip e reggiseno e magari, mezzo nudi, camminare avanti e indietro con i piedi dentro una fontana, con un fazzoletto sulla testa e le mani sui fianchi come una puerpera perché “il movimento dell’acqua sulle caviglie fa bene alla circolazione”.

Insomma, partorire pensieri assurdi è il mio modo per superare il caldo estivo in attesa che tutto torni alla normalità, così come capita a voi quando, dopo una giornata in spiaggia, tornate alle vecchie abitudini non appena poggiato il sedere sul sedile dell’auto: «Ci fermiamo a prendere le sigarette?», «Ma sei matto? Non vorrai che mi faccia vedere conciata così!» Solo spiaggia si può tutto… o quasi!

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