I… COME INCIPIT

di Fabio Massimo Penna

da “I DIARI DI CINECLUB, n.63, luglio 2018 (puoi scaricare gratuitamente l’ultimo numero della rivista cliccando QUI)

“Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendìa si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio.” (Gabriel Garcìa Marquez, Cent’anni di solitudine, Arnoldo Mondadori editore, Milano, 1982).

L’incipit folgorante di Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcìa Màrquez rimane impresso indelebilmente nella mente del lettore anche anni dopo la lettura del romanzo. Quell’inciso che stimola la curiosità del lettore in maniera incalzante (“di fronte al plotone di esecuzione”) troverà la sua risposta molte pagine dopo quando si scoprirà che l’esecuzione del militare era stata, in realtà, sospesa. Inoltre l’impiego del condizionale passato (“si sarebbe ricordato”) abbinato al trapassato prossimo (“lo aveva condotto”) permette allo scrittore, partendo dal passato (“molti anni dopo”), di collegarsi con un evento antecedente sempre nel passato (“quel remoto pomeriggio”). La scansione temporale della narrazione unita alla drammaticità dell’evento della fucilazione dona alla frase un fascino inquietante.

La stessa abilità nell’agganciare l’attenzione dello spettatore/lettore mostra il regista Billy Wilder nel suo film Viale del tramonto. Il cineasta austro-americano immerge il pubblico immediatamente “in media res” mostrando in incipit un cadavere che galleggia nella piscina di una villa e prosegue ricostruendo in flashback gli avvenimenti che hanno portato alla morte dell’uomo. Anche qui aver mostrato al principio la conseguenza finale degli avvenimenti narrati (tempo circolare: la pellicola finisce tornando esattamente al punto in cui era cominciata) comporta di spingere il pubblico a farsi domande le cui risposte verranno rilasciate via via nello sviluppo del racconto. Un incipit del tutto originale e inconsueto, è quello con il quale lo scrittore austriaco Robert Musil inizia il suo romanzo L’uomo senza qualità (1930 – 1933). Sembra di trovarsi di fronte a un bollettino meteorologico e in effetti, forse riferendosi ironicamente alla banalità di alcune descrizioni paesaggistiche delle opere letterarie, descrive una bella giornata in termini esclusivamente tecnici con il resoconto puntuale dei dati barometrici e atmosferici: “Sull’Atlantico un minimo barometrico avanzava in direzione orientale incontro a un massimo incombente sulla Russia, e non mostrava per il momento alcuna tendenza a schivarlo spostandosi verso nord. Le isoterme e le isotere si comportavano a dovere. La temperatura dell’aria era in rapporto normale con la temperatura media annua, con la temperatura del mese più caldo come con quella del mese più freddo, e con l’oscillazione mensile aperiodica. Il sorgere e il tramontare del sole e della luna, le fasi della luna, di Venere, dell’anello di Saturno e molti altri importanti fenomeni si succedevano conforme alle previsioni degli annuari astronomici. Il vapore acqueo nell’aria aveva la tensione massima, e l’umidità atmosferica era scarsa. Insomma, con una frase che quantunque un po’ antiquata riassume benissimo i fatti: era una bella giornata d’agosto dell’anno 1913.” (Robert Musil, L’uomo senza qualità, Einaudi editore, 2005).

A livello cinematografico abbiamo una sequenza iniziale simile in Le iene di Quentin Tarantino. Questa pellicola che descrive la pianificazione, lo svolgimento e l’esito di una rapina incomincia con i malviventi coinvolti nel progetto seduti intorno al tavolo di una caffetteria: però non parlano del colpo bensì si lanciano in una lunga discussione sul significato del brano musicale di Madonna: Like a virgin. Anche qui l’attenzione dello spettatore/lettore è spostata su di un argomento indifferente che non avrà alcun peso nel prosieguo della narrazione: là una pignola descrizione atmosferica, qui una approfondita dissertazione sul senso di una canzone. Notevole ironia caratterizza anche la sequenza iniziale del grande film di Stanley Kubrick Barry Lyndon. In campo lungo viene ripreso un drammatico duello all’alba che però la voce fuori campo si sente in dovere di banalizzare affermando che sarebbe stato causato da un’insulsa questione sulla proprietà di alcuni cavalli. Qui il geniale regista newyorkese traspone in termini cinematografici il trucco dell’autore dell’omonimo romanzo Barry Lyndon, W.M.Thackeray, di smentire a pie’ di pagina le affermazioni del protagonista dell’opera. Personalmente lo scrivente ha un’autentica ossessione per le sequenze iniziali dei film (ricordiamo come il personaggio di una pellicola di Woody Allen dichiari che per lui entrare in una sala cinematografica dopo che il film è cominciato da un minuto sia inaccettabile) e ritiene un buon inizio fondamentale per emettere un positivo giudizio critico sul film. Tra i tanti incipit amati vorrei ricordare quello di un film, forse non tra i più conosciuti, Lourdes di Jessica Hausner, opera che tratta di guarigioni miracolose. Il rigore formale della regista austriaca è evidente sin dall’inizio con la macchina da presa fissa che inquadra in campo lungo la sala da pranzo di un albergo nei pressi del santuario di Lourdes. Le cameriere preparano i tavoli poi pian piano cominciano a entrare in campo le suore, gli ammalati e i loro accompagnatori. Soltanto dopo un consistente lasso di tempo la macchina da presa comincia a muoversi con una lenta carrellata in avanti. Sostanzialmente il movimento avviene all’interno dell’inquadratura, grazie ai movimenti di attori e comparse, mentre la mdp mantiene una certa staticità. In definitiva, per romanzi e film vale il vecchio adagio “chi ben comincia è a metà dell’opera”.

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