FEMMINICIDIO: PUNIRE L’AGUZZINO O TUTELARE LE DONNE?

di Giovanni Brianda

In Italia spesso è ritornato prepotentemente alle cronache il tema dell’uxoricidio, del “femminicidio” e più in generale degli abusi verso le donne. Nel 2014 è stata approvata l’ultima legge contro il femminicidio. Da quel momento in poi la politica non si è più occupata del tema come se l’attuale legge in vigore avesse sortito qualche effetto positivo. Eppure i media continuano a raccontare una realtà che racconta abusi denunciati e puniti(?) quando ormai è troppo tardi. Purtroppo anche ognuno di noi ha letto sulla cronaca locale storie di abusi o di femminicidio, spesso riguardante i vicini di casa!

Quindi mi faccio delle domande: premesso che per certe azioni il codice penale non può andarci leggero, dare una pena di 10 anni anziché 5 a chi usa violenza sulle donne potrebbe avere dei risultati positivi? La risposta che mi do è NO, e i precedenti europei mi danno ragione! Gli uomini violenti non leggono il codice penale prima di tirare un ceffone, e inasprire la pena servirebbe solo a punire più severamente il reato e forse a mantenere chi il reato lo compie più possibile fuori dalla società. Ma la tutela alle donne dove sta? Vogliamo fare in modo che non ci sia il femminicidio o che questo venga punito in modo più esemplare? Mah…. io vorrei poter prevenire e salvare qualche vita, piuttosto che aspettare il cadavere per punire il femminicida!

Il problema di fondo, che nessuna legge potrà mai risolvere, è la constatazione del reato da parte delle forze dell’ordine, nonché il fatto che spesso queste donne sono moglie, magari con figli, o comunque economicamente dipendenti dal proprio aguzzino, quindi non possono mettersi al sicuro mentre la giustizia fa il suo corso…. in Italia poi! Immaginate che vostro marito, che ritorna a casa tutte le sere ubriaco e nervoso, di tanto in tanto vi dia una sberla perché la cena non è pronta o perché non volete fare l’amore con lui. Che fate? Andate alla polizia? E la polizia che volete che faccia, che arresti vostro marito in base alle vostre dichiarazioni? Dai, non scherziamo!

Patricia Scotland

Il femminicidio è quasi sempre l’apice di un lungo periodo di violenze fisiche e psicologiche che non hanno trovato alcuna soluzione, e una legge più severa non ne sarà mai un efficace deterrente. Non a caso penso che la strada giusta sia il metodo britannico che consiste in un ente pubblico che fornisca alle donne che denunciano violenze domestiche un alloggio lontano dal proprio aguzzino ed alimenti, almeno fino a che i tribunali non ne dispongano la custodia cautelare. In effetti è una pratica che in genere è prassi tra i comuni italiani, ma appunto finanziato esclusivamente dalle insufficienti risorse delle amministrazioni locali e senza alcun contributo statale. Quindi spesso destinata a chiudere bottega. Per tutto questo personalmente sostengo Patricia Scotland (da cui il “Metodo Scotland”), membro della Camera dei Lord inglese ed ex ministro della Giustizia del governo Blair, che in sette anni con il suo metodo, solo a Londra, ha visto le vittime calare del 90%! Nel 2003 erano state uccise 49 donne, nel 2010 il numero è arrivato a cinque. Il metodo è stato poi utilizzato anche in Spagna e Nuova Zelanda.

Patricia Scotland ha incontrato Laura Boldrini quando la presidentessa della Camera dei Deputati si occupava di associazionismo mondiale per la tutela dei diritti delle donne, in coincidenza con la ratifica della Convenzione di Istanbul ha anche inaugurato il ramo italiano della sua Global Foundation for the Elimination of Domestic Violence fondata in Inghilterra nel 2011, perché anche l’Italia aveva in mente di adottare questo metodo…. e invece? Dov’è il metodo Scotland nella famigerata legge sul femminicidio che il realtà è servita solo da Cavallo di Troia per l’emendamento a favore delle province?

Patricia Scotland e Laura Boldrini

Un altro particolare importante nel valutare i fattori scatenanti della violenza contro le donne sta nella violenza subita dagli uomini. Proprio la Scotland riferisce durante l’incontro in Italia, che facendo il giro delle carceri, pare che l’89% delle detenute era stata vittima di violenza domestica o crimini sessuali, e che il 50% dei giovani maschi presenti in carcere aveva alle spalle storie di violenza e che due uomini su tre erano cresciuti in contesti di abusi. «Erano gli abusati che diventavano aggressivi» racconta. Questo studio vuole evidentemente essere riflessione del problema dal punto di vista sociale, cioè ricercare i fattori sociali ed antropologici che generano uomini violenti. Il primo passo della vittoria del suo metodo è stato quello di riunire istituzioni e ministeri sulle azioni da intraprendere.

Poi collaborazione con le realtà esistenti, «perché il governo non può fare tutto da solo: c’è bisogno dell’aiuto dei datori di lavoro, dei filantropi, delle organizzazioni non governative, delle scuole. Senza questa collaborazione in Inghilterra saremmo rimasti al 2003». Così sono nati i Tribunali specializzati nelle violenze domestiche – 150 in tutto – e 250 agenzie multidisciplinari – i cosiddetti Marac: Multi Agency Risk Assessment Conference. L’anello di congiunzione con le vittime sono gli Independent Domestic Violence Adviser , tutor, molte volte ex vittime, che si trovano negli ospedali, al pronto soccorso, nei tribunali, formati per accompagnare la vittima, e il percorso è difficoltoso per tutti, sia per la duchessa sia per la moglie del netturbino.

Ancora un altro dato che mi conferma che non si può fare una legge che tuteli le donne senza capire quali sono le cause sociali di queste violenze sta in un’altra affermazione della Scotland secondo la quale «non si tratta neanche della lotta di un genere contro un altro: in Inghilterra una donna su quattro e un uomo su sei sono vittime di violenza domestica, ma le donne prima di denunciare aspettano in media cinque anni, mentre gli uomini tendono a non fermarsi nelle relazioni di violenza e scappano». E in un Paese in cui il 47,2% delle donne uccise dai propri compagni nel 2012 aveva già fatto una denuncia? Sappiamo che il modello funziona. Quello che può fare uno spagnolo o un inglese, lo può fare pure un italiano, secondo Patricia Scotland. In Spagna in quattro anni le violenze domestiche sono calate del 25 per cento. E anche i numeri inglesi lo dicono: dal 2003 al 2010 i casi sono diminuiti del 64 per cento.  Bene, alla luce di tutti questi dati mi pare indiscutibile che quello che bisogna fare per salvare qualche vita lo sappiamo già, resta solo il farlo! Cosa stiamo aspettando?

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Un pensiero su “FEMMINICIDIO: PUNIRE L’AGUZZINO O TUTELARE LE DONNE?

  • 14 Novembre 2017 in 17:25
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    Si parla tanto di inasprire le pena ma nessuno pensa mai che se uno arriva a beccare la condanna vuol dire che la donna è stata già abusata, picchiata o uccisa. Giusto pensare soprattutto a cosa accade prima.

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