POSITIVO? NO, GRAZIE! MI BASTA IL “PENSIERO”!

di Livio Cossu

Ho conosciuto tante persone. Forse conosciuto è un termine azzardato, diciamo che ho incontrato tante persone e ho avuto l’occasione di parlare con loro. Vado, il più serenamente possibile verso i 70, non è colpa mia, ma ciò mi ha permesso di avere molteplici occasioni di apprendimento di come va il pensiero dell’uomo in età diverse.

Questo mi ha indotto a pensare che, da quando l’uomo diventa capace di intendere  e di volere, il suo sviluppo fisico e mentale si sia consolidato in tre fasce d’età – la prima fino più o meno ai 30 anni, la seconda fino ai 60 e la terza dai 60 in su, finché dura – e con due caratteristiche tipicamente umane abilmente separate da pochi decisori dei destini delle masse: il bisogno del corpo e il bisogno dello spirito, che vanno decrescendo o aumentando in funzione del tempo e dell’età.

Giorgione – Le tre età dell’uomo

Per fare un esempio: il sesso – una delle funzioni vitali e corporali più evidenti – e dall’altra parte l’intelletto e lo spirito, sono come due treni che si incrociano su binari diversi in opposte direzioni. Ciò si trasferisce nell’essere umano in modo singolare e non proprio corretto, a parer mio. Fino ai trent’anni quindi prevalgono le esigenze prettamente sud-ombelicali, almeno per tre quarti, per cui l’impulso all’atto sessuale diventa principale meta di qualsiasi ricerca di relazione con l’esterno, normalmente verso l’altro sesso ma non necessariamente. Il restante quarto viene definito amore, amicizia, conoscenza. Anche se poi sempre al di sotto dell’ombelico si va a finire, in qualsiasi modo, anche solitario: onanismo ma soprattutto narcisismo sono forme diverse di affermazione di sé nei confronti del partner eventuale.

Più in là con gli anni, dopo i 30, i bisogni salgono più a nord dell’ombelico e si concentrano su di un organo che sta appena sotto il cuore, quello che facendo più rumore reclama molte e continue attenzioni da parte dell’uomo (uso il termine “uomo” per convenzione al di là del genere): lo stomaco, o meglio “la pancia”

Una volta raggiunta l’indipendenza e aver usato la propria sessualità come strumento di affermazione, dopo aver creato una coppia, aver progettato un futuro non più solo per se stessi, diventa impellente il nutrimento: il pane, quindi il lavoro, il guadagno, la sicurezza per il futuro. Il sesso, esperienza già data per scontata e acquisita, comincia a diventare meno importante nella scala delle necessità.

La terza età mi riguarda personalmente e posso dire che è la stagione dell’impotenza fisica e dell’interesse per l’organo che fino a quel momento ha dettato, elaborato – ma a nostra insaputa – tutte le nostre scelte: il cervello. Le nostre scelte sono già state fatte, diciamo pre-confezionate da infinite possibilità che il mondo capitalistico e la società dei consumi hanno disseminato sul nostro inconsapevole cammino. Al giorno d’oggi si parla di “pensiero positivo” come della risposta onnicomprensiva data subdolamente ad esigenze troppo difficili o troppo semplici, che il nostro “io” chiede di realizzare al di fuori degli schemi dei “decisori”.

Perché dovrebbe essere un male “pensare negativo”? Forse perché sarebbe la dimostrazione che si è sbagliata la costruzione del tutto? E perché la pecora nera crea disagio se va contro corrente e dimostra che l’ordine precostituito è una stupidaggine pazzesca se può essere scombussolato da un pensiero diverso?

Bisognerebbe vivere in una società in cui lo scorrere della vita non sia più in tre strati, ma in un rimescolamento che, diventato un unico strato, preveda tutte le varianti possibili nel rispetto di ciascun essere vivente. La sessualità del vecchio e la spiritualità del bambino, la fantasia di una casalinga e la genialità di un conducente di autobus.

Non dico cose impossibili, ma necessarie affinché il ruolo di ogni uomo sia utile all’altro uomo e la sua utilità sia riconosciuta al di là dell’inscatolamento e della classificazione fatta per età. sesso, razza, istinto, attitudine, classe sociale… che alla fine sono solo strumenti che servono come il pane a coloro che vogliono decidere sulla vita degli altri.

Certo, so che servirebbe una bella e geniale e condivisa rivoluzione culturale che riguardi intimamente tutti, con coraggio e consapevolezza, entusiasmo ma non sbadataggine o imprudenza. Ecco perché quando mi sento dire che dovrei “pensare positivo” mi si rivoltano le budella. E penso all’informazione omologata ad un pensiero unico, in cui il bene e il male sono due categorie solo ai mass media concesse e precluse al singolo uomo che pure le possiede entrambe dentro di sé.

«Pensa positivo!» Perché dovrei? E da quale parte dovrei guardare? Nel Mediterraneo silente testimone di continue stragi di innocenti? O negli incendi che devastano la nostra natura? Nei “se fa caldo entrate nei supermercati che lì c’è fresco” e magari spendete i vostri soldi in cose inutili a voi e utile alle tasche degli altri? O guardo alle banche che falliscono tanto poi paga Pantalone? Sento il solito litigio e vociare…

«Pensa positivo!» Pensa positivo? Mi hanno detto che la mia negatività si taglia a fette. E va anche bene. Perchè per me non è importante il positivo o il negativo. Per me l’importante è pensare, l’equilibrio, la consapevolezza e lo scambio di idee… il confronto! “Positivo” o “negativo” sono solo opportunistiche definizioni che si danno a diversi punti di vista. A me basta il PENSIERO!

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