NEI PANNI DI UN UOMO

di Marina Garau Chessa

“- Oh, niente firma, per favore. Lei non vuole rivelare il suo nome e non ha uno pseudonimo – replicò in fretta Jo, arrossendo suo malgrado.”
In Piccole donne crescono Jo March consegna un manoscritto dicendo che è di una sua amica e il direttore, ovviamente, finge di credere che non l’abbia scritto lei. Allo pseudonimo, quindi, preferisce l’anonimato.
Nel corso dei secoli, molte donne si sono nascoste dietro uno pseudonimo o l’abbigliamento maschile per poter arrivare a fare ciò che desideravano; alcune di esse finirono addirittura per cedere ad un uomo la paternità dei propri lavori. Alla base di questa decisione ci potevano essere diversi motivi.

Kathrine Switzer

Kathrine Switzer, ad esempio, voleva partecipare alla maratona di Boston, vietata alle donne fino al 1967; Mary Anderson partecipò alla vita politica di New York fino al 1901 con il nome di Murray Hall, riuscendo anche a votare in un periodo in cui le donne non ne avevano il diritto e Margaret Ann Bulkley si trasformò in James Barry per poter diventare chirurgo, in barba al divieto di frequentare l’università in vigore nell’Irlanda di fine ‘700.

 

“James” Barry, a sinistra, insieme al domestico John e al suo cane Psyche

In letteratura le donne hanno sempre rischiato di non essere prese sul serio o di dover scrivere solo trame “adeguate al loro sesso”. Così Louisa May Alcott, le sorelle Bronte,  Cecilia Böhl de Faber, Nelle Harper Lee, Mary Ann Evans, Violet Paget e molte altre hanno nascosto la propria identità sotto uno pseudonimo maschile. Persino J.K. Rowling ebbe dei problemi per la pubblicazione di Harry Potter, dimostrando come un certo tipo di pregiudizi sia incredibilmente attuale.

Grazie a “Big eyes” di Tim Burton il grande pubblico sa che Margareth Keane è l’autrice dei volti dagli occhi grandi e sproporzionati rispetto al viso e che, per anni, il marito se ne attribuì la paternità. Fu necessaria una causa in tribunale con esecuzione pubblica di un dipinto perché la verità venisse a galla.

Che dire di Fumiko Negishi, che per anni dipinse i quadri firmati da Antonio de Felipe? O Rosalind Franklin, il cui lavoro sul DNA venne utilizzato a sua insaputa da Watson e Crick, che vinsero anche il Nobel?
Le donne in questione sono probabilmente fra le più note, ma c’è da scommettere che le donne che hanno dovuto fare questo tipo di compromessi siano davvero molte di più.

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Un pensiero su “NEI PANNI DI UN UOMO

  • 22 Agosto 2017 in 11:59
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    Benche sempre tormentato dal suo orribile aspetto, e sentendosi piu un mostro che un uomo, nel panni della Cosa Ben e divenuto l’idolo di moltissime persone in tutto il mondo, che lo adorano sia per le imprese eroiche a cui ha preso parte che per la sua ironia e il suo senso dell’umorismo.

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