NON HO QUELL’ELEGANZA

di Maria Fozzi

Non ho l’eleganza dell’abito firmato. Non ho quel tocco di classe di una borsa Chanel che ti dà il diritto di camminare in posizione eretta e con la puzza sotto il naso. Non ho l’eleganza delle scarpe Prada, quelle che ti danno il diritto di guardare dall’alto in basso una persona trasandata o dai vestiti di marche sconosciute. Non ho l’eleganza delle unghie curate e degli accessori sempre abbinati a puntino.

Non ho l’eleganza di una ricca eredità e di un conto corrente a vari zeri (ovviamente anticipati da altre cifre). Non ho l’eleganza che si ha quando si appartiene alla medio-alta borghesia o ad ambienti culturalmente eletti. Non ho nemmeno l’eleganza del linguaggio sublime. Non ho l’eleganza del mignolo alzato e dei club di classe. Non ho l’eleganza del sentirmi migliore e di ritenere che la mia presenza non si debba mischiare a quella di bruti, sporchi e chiassosi individui. Non ho l’eleganza di chi guida una macchina lussuosa o è sempre in camicia. Non ho l’eleganza di chi ha studiato in una scuola rinomata. No, non ho nessuna di queste eleganze. Forse non ho nessuna eleganza.

Eppure ho conosciuto altre caratteristiche sociali che io chiamo Eleganza.

Ho conosciuto l’eleganza del rispetto del prossimo. L’eleganza della considerazione dell’opinione altrui, indipendentemente dal sesso, dalla provenienza e dall’età. Un’eleganza sublime. Perché quando qualcuno parla è elegantissimo ascoltare, e se si pensa che quanto appena ascoltato sia stupido, elegante è indagarsi per accertarsi che si è capito bene; e una volta appurato quanto detto, anche se quel che è acquisito è molto lontano dal nostro modo di vedere, elegante è rispettarlo. Elegante è non giudicare.

Ho conosciuto l’eleganza dell’accoglienza. Ho conosciuto l’eleganza del coinvolgere in un gruppo il nuovo arrivato, di chiedergli di lui e della sua vita, di cercarlo con gli occhi mentre si parla con un altro interlocutore.

Ho conosciuto l’eleganza della condivisione. Ho conosciuto l’eleganza del provare piacere ad offrire ciò che si ha, senza pensare che debba essere necessariamente ripagato o pareggiato; perché quando c’è rispetto tutto torna senza troppe spiegazioni. E da qui, c’è anche l’eleganza di non approfittarsi di chi ci concede fiducia e generosità. Che eleganza!

Ho conosciuto l’eleganza del credere sempre nelle possibilità altrui, del non azzardarsi mai a buttare giù qualcun altro. Elegante è arrivare a pensare che se un altro non sta riuscendo, probabilmente stanno giocando altri fattori che non riguardano propriamente le capacità personali, ma altri aspetti quali la sfiducia, la paura e la poca autostima. Elegante è non approfittarsi delle insicurezze altrui per far credere all’altro di essere inferiore, acquisendo noi stessi un qualche immeritato potere, o valore. Elegante è aiutare e infondere fiducia in sé stessi.

Elegante è guardare le persone negli occhi e dire la verità. Elegante è ammettere i propri errori.

Elegante è non pensare mai di essere migliori degli altri, né inferiori. Elegante è pensare di essere uguali e diversi allo stesso tempo. Elegante è pensare che questo sia assolutamente giusto.

Elegante è non essere ingordi, ma altruisti. Elegante è non essere attaccati agli oggetti, ma ai valori. Elegante è non buttare via la propria e l’altrui dignità. Elegante è volersi bene.

Questo è ciò che ritengo elegante, e se per caso non dovesse rientrare nella vostra definizione di eleganza, ritenete la cosa pure sciocca, ma non giudicatemi; sarà là che io vi considererò eleganti.

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