ORGOGLIO E PREGIUDIZIO

DI FRANCESCA ARCA

Perché “Pride”? «Orgoglio de che?» verrebbe da dire? Che bisogno c’è di essere orgogliosi di come si è? Si può mai essere orgogliosi di avere i capelli biondi, o di avere un neo sopra il labbro, o di nascere in un posto piuttosto che in un altro? Non c’è alcun merito in questo! Eppure accade anche che molti rivendichino l’orgoglio di appartenere ad una nazione, ad una città, a volte anche ad un quartiere rispetto ad un altro! E nessuno la trova una cosa strana (tranne me forse e pochi altri matti). Difficile per me pensare che si possa essere orgogliosi di qualcosa che non dipende da noi. Nonostante sia solo una minoranza quella di coloro che, piuttosto “de coccio”, si ostinano ancora a dire che l’omosessualità sia una malattia o una parafilia, (cosa oramai smentita dalla stessa medicina da decenni), il pregiudizio che si “diventi gay” chissà per quale motivo e si “possa guarire” è duro a morire.

Ho sempre creduto che si debba essere orgogliosi di ciò che si fa e dei traguardi raggiunti con fatica. Allora mi metto a riflettere e penso: quando per secoli, ti viene ripetuto che una cosa è aberrante, sbagliata, immonda, punibile in ogni modo dalle varie divinità e, in determinati momenti storici, anche dalla legge dell’uomo, probabilmente si fa un pelino di fatica ad avere un rapporto sereno con se stessi e con chi ci circonda. Giusto quel pelino che può portare ad essere infelici. E nessuno ci sta ad essere infelice. E allora che fa? Lotta per poter stare meglio! Ma andiamo a vedere perché nasce questo “orgoglio”.

Lo Stonewall Inn nel 1969

Sono passati quasi cinquant’anni da quando nel 1969, nella notte tra il 27 e il 28 giugno, ebbero luogo a New York quelli che ancora vengono ricordati come i “Moti di Stonewall”, la prima forma decisa di rivendicazione dei diritti civili da parte delle persone omosessuali. Le retate della polizia nei locali gay erano all’ordine del giorno e l’omosessualità era considerata una malattia mentale. Lo Stonewall Inn, un frequentatissimo locale nel Greenwich Village, vide l’irruzione di sei agenti che minacciarono gli avventori, iniziando a rompere gli oggetti a colpi di manganello. Circa duecento persone vennero identificate e tre drag queen fermate, poiché una legge imponeva di indossare almeno tre capi di vestiario adatti “al proprio genere”. Ma per la prima volta, proprio quella sera, si ebbe una reazione. Probabilmente il lancio di una bottiglia contro gli agenti da parte della transgender Sylvia Rae River, scatenò una vera e propria rivolta che coinciderà simbolicamente con l’inizio del movimento di liberazione omosessuale. In ricordo di questi avvenimenti ogni anno il 28 giugno e nei giorni precedenti o immediatamente successivi, si svolgono le manifestazioni legate al cosiddetto Pride, la marcia dell’orgoglio LGBT che, celebrando la memoria dei moti di Stonewall, rivendica i diritti civili delle persone gay, lesbiche, bisessuali e transgender.

Lo Stonewall Inn in anni recenti

In Italia il primo Pride ufficiale si svolse a Roma nel 1994 e da allora è diventato un momento legato non solo al ricordo di ciò che è stato, ma principalmente alla comprensione di ciò che sarà, attraverso iniziative che hanno lo scopo di sensibilizzare le persone nei confronti delle problematiche che ancora permangono, nonostante le numerose conquiste ottenute. A volte eccessivi? Già, è successo… ma molto più spesso no! Ho avuto la fortuna di partecipare a due Pride qui in Sardegna e mi appresto a seguire il terzo che si terrà nella mia città! Ho visto manifestazioni festose, senza eccessi di cui lamentarsi, il cui scopo è stato ampiamente raggiunto: ricordare e rivendicare il diritto a non subire discriminazioni di nessun genere a causa dell’orientamento sessuale.

Non c’è alcun peccato di superbia nel rivendicare il proprio “orgoglio”. Rappresenta semplicemente la giusta fierezza di chi non vuole essere discriminato e di chi non vuole che altri vengano discriminati. Cosa che, non dimentichiamolo, ancora accade. Quando ognuno di noi smetterà di dare tutta questa importanza a ciò che si fa nella camera da letto tra adulti consenzienti, quando non ci sarà più bisogno di fare outing, insomma quando ci toglieremo di dosso tutta la voglia di additarci l’uno con l’altro, allora non ci sarà bisogno più di nessun pride. Non ci sarà necessità di rivendicare con il giusto orgoglio che “sì, sostengo che tutti i cittadini debbano godere di eguali diritti civili”, che “sì, trovo aberrante che qualcuno venga discriminato in qualsiasi modo solo a causa dell’orientamento sessuale”. Quindi è ovvio che non mi piaccia il Pride. Per tutti questi motivi  io odio il Pride! Lo odio perché odio il fatto che ancora, nel 2017, sia fortemente necessario. Ma lo è! E’ necessario! Oggi più che mai. Sono passati quasi cinquant’anni dai “Moti di Stonewall”, non so quanti ne serviranno ancora… speriamo non molti!

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