FIGLI PERFETTI E GENITORI SBAGLIATI

di sonia melis

Se anche il Papa li menziona tra le sue preghiere, dai microfoni dell’Angelus domenicale, spendendosi in aneddoti e invocazioni di rispetto e comprensione, messi in fila tra profughi, reietti, affamati e disoccupati, vorrà dire che, i docenti, lungi dall’immagine che li considerava alla stregua del prete, del medico condotto e del maresciallo, non vivano un buon momento. Ed effettivamente, il tema della scuola e dell’educazione, con le complicazioni scaturite dal mutare dei tempi, sono sempre più spesso oggetto di fatti e riflessioni, che vanno dalle contestazioni di riforme, rigorosamente imposte e a tratti deliranti, alla cronaca, che li vede vittime o carnefici, a seconda dei fatti. Resta che nell’immaginario collettivo e negli archivi della memoria di ciascuno, maestri e professori, difficilmente non lasciano traccia, in-segnare, non c’è dubbio, segna dentro.

Temibili, amorevoli, competenti ma “cani”, provando a non cadere nei soliti “ai miei tempi”, “ah, quando ero giovane io”, sono oggetto di discussioni che animano i capannelli di genitori, in attesa della campanella o raccolti all’urlo di “mammeeeeeeeee” … (che fa molto Daria Bignardi, agli albori de Il Grande Fratello), della mamma ansiosa di turno, nei cortili virtuali della messaggistica istantanea, dove, tra una banalità e l’altra, ansie inesistenti, cuoricini e immancabili gattini, si passa al vaglio la mattinata scolastica dei figli. Pour parler ma anche vere e proprie manie di persecuzione, che vedrebbero il soggetto dell’educazione, tradotto in vittima ingiustificata di vessazioni inspiegabili e raramente contestate al presunto carnefice, maestro o professore, salutato sempre con sorrisone e smancerie, più per il timore di ritorsioni sull’indifeso pargoletto – si rade la barba ma per i genitori resta una creaturina – che per educazione. Per contro, fatte salve le eccezioni, i docenti percepiscono chiaramente di essere considerati poca cosa e che il giudizio su di essi, non si limita a considerazioni riferite ai tratti della personalità – non si può piacere a tutti – ma sconfina in terreni che riguardano aspetti squisitamente professionali, che spaziano dalla didattica alla metodologia, passando per la pedagogia e se ne guardano dal trascurare la psicologia dell’età evolutiva, cancellando la differenza che dovrebbe correre tra l’essere specialisti e missionari improvvisati, prestati alla formazione, distinzione essenziale che ci permette di riconoscere l’imbianchino dal pasticcere, ci fa pensare l’avvocato altro dall’ingegnere e non ci farebbe nemmeno sognare di farci curare da un veterinario, e questo sarebbe pure il meno.

Non si tratta di mero esercizio della parola senza effetto, al contrario, traducendosi in squalifica, a suon di “quella strega dell’insegnate, che non ne sa niente, e ma già ci parlo io”, finisce per licenziare anche gli alunni a comportamenti che non valicano solo i confini della decenza e dell’educazione ma, talvolta, come racconta la cronaca, del codice penale. Le ragioni che hanno portato alla declassazione della professione docente e del suo ruolo, sono determinate da fattori plurimi e difficili da discernere, forse anche da una sorta di “buco” lasciato dal ’68, colmato da una generica idea esasperata di permissivismo senza criterio, reazione fisiologica alla rigidità di vecchi retaggi educativi che, nonostante gli indubbi vantaggi, ha condotto a visioni successive restate orfane di nuovi paradigmi e aggravate dal cambiamento culturale repentino, ricaduto sull’utenza, sempre più motivata dall’avere che dall’essere, sia esso il buon vuoto che lo smartphone per la promozione.

Sempre meno capaci di gestire la frustrazione, in un mondo che ci vuole competitivi e belli, ma senza fatiche, a poco sono valsi anni di ospitate televisive dei vari Crepet che, snocciolando pillole di psicologia, hanno diffuso mezzi concetti, buttati nell’etere e infrantisi contro il pubblico di trasmissioni pomeridiane, non sempre in grado di decodificarne il senso e che sembra abbiano, oltre che partorito orde di psicologi e psicoterapeuti – mi viene in mente l’abuso della parola “resilienza”, solo per fare un esempio – rinforzato l’urgenza di certa protezione castrante dei propri figli che “in fondo sono solo bambini” e, ancora “l’adolescenza, si sa, è un età difficile, meglio non turbarli”. Ed è proprio dalla mancata congiunzione di causa ed effetto, dall’omissione frequente della responsabilità – l’intervento educativo è sempre faticose e pone interrogativi – che discende la fragilità che terrorizza e costringe a collocare l’errore, le difficoltà e le crisi della crescita, nel mondo la fuori, e chi meglio del docente di turno potrebbe incarnare il persecutore ideale ? Eppure, i manuali di psicologia dell’età evolutiva e pedagogia, affermano che le regole contano e contengono senza nulla togliere a quel “bello di mamma !”, anzi…

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